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Cosa vuol dire Plastic-free. Tutto quello che c’è da sapere per sfatare alcuni luoghi comuni che riguardano la plastica e il suo utilizzo e riciclo
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Indice
- Cosa vuol dire Plastic-free – Solo uno slogan?
- Un mondo senza plastica è impossibile?
- Perchè non riciclare tutta la plastica?
- La plastica è senza fine vita?
- Come incentivare il riutilizzo?
- Conclusioni
Cosa vuol dire Plastic-free – Solo uno slogan?
Spesso tacciato di essere un mero slogan di marketing, Plastic-free – che vuol dire letteralmente “libero dalla plastica” – in realtà è l’impegno per una gestione più corretta degli oggetti fatti di questo materiale. Solitamente l’approccio dei detrattori del Plastic-free è piuttosto semplicistico e si esprime attraverso due assunti:
- Un mondo senza plastica è impossibile stando alle esigenze odierne perché metterebbe a repentaglio i progressi di industrie fondamentali come la farmaceutica e l’alimentare.
- Invece di eliminare la plastica perché non riciclarla tutta.
Purtroppo le cose non sono così semplici e di certo queste affermazioni dovrebbero essere un minimo approfondite per essere avvalorate. Questo perché entrando nel merito si scoprono invece dettagli non poco importanti che sgonfiano la semplificazione adottata da chi compie queste asserzioni.
Dato che chi avanza obiezioni al Plastic-free non entra mai nel merito è quello che verrà fatto in questo articolo.
Leggi anche cosa significa davvero essere Plastic-free
Un mondo senza plastica è impossibile?
“La plastica è il materiale che la natura si è dimenticata di inventare”. Questo è ciò che affermò Paul John Flory, Premio Nobel per la Chimica nel 1974.
Le sue caratteristiche di leggerezza, infrangibilità, impermeabilità, durabilità ed economicità le conferirono la vocazione di sostituto dei materiali naturali. Il crescente benessere economico, portando con sé nuove necessità legate ad igiene e conservazione dei cibi ma non solo, ha portato la plastica ad essere il materiale più prodotto del ventesimo secolo.
Si pensi innanzitutto al packaging alimentare che ha consentito l’allungamento dei tempi di conservazione dei cibi e così la diminuzione degli sprechi alimentari. Si aggiungono le applicazioni in ambito sanitario e logistico. In questi settori si sono raggiunti con l’ausilio della plastica miglioramenti delle condizioni igienico-sanitarie e di trasporto.
Ma Plastic-free non significa un mondo senza plastica. Piuttosto vuol dire sostituire o eliminare la plastica dove il suo utilizzo è monouso e sono presenti sul mercato alternative riutilizzabili che consentano di garantire igiene, conservazione e integrità.
La plastica per molti dei suoi usi non solo è ancora insostituibile, in quanto non ci sono materiali in grado di garantire le sue prestazioni, ma non è nemmeno obiettivo del Plastic-free affermare il contrario. Il caso esemplare è quello dei presidi medici per i quali non si è mai voluta una loro sostituzione con altro. Un mondo senza plastica non è ciò che si prefigge il Plastic-free.
Perché non riciclare tutta la plastica?
Non tutta la plastica è identica. Sotto il cappello di “plastica” vengono compresi una varietà di diversi materiali (termine tecnico polimeri) che solo per una questione di semplificazione vengono raccolti tutti insieme.
Purtroppo la realtà è che di tutti i polimeri solo una parte è riciclabile. Fino ad oggi raccolta differenziata e riciclo sono stati utilizzati come sinonimo ma non è affatto così. La contaminazione da cibi rende spesso impossibile il riciclo, come anche additivi e coloranti che vengono aggiunti per conferire caratteristiche aggiuntive. Tutto ciò non dimenticando che il riciclo comporta ulteriore consumo di energia e risorse.
Quei materiali plastici che sono riciclabili, non possono poi subire il riciclo all’infinito (come invece è possibile ad esempio per alluminio e vetro) ma al massimo 3 o 4 volte, perdendo ad ogni passaggio peso, volume e qualità. Per questo motivo la plastica riciclata si è scoperta molto spesso non idonea alla produzione di oggetti che devono avere determinate caratteristiche. Tramite riciclo è infatti raramente possibile ottenere oggetti identici a quelli di origine.
Ad esempio, dal PET delle bottiglie, la plastica meglio riciclabile tra tutte, vengono spesso ricavati tessuti sintetici piuttosto che nuove bottiglie. È anche successo che dopo alcuni tentativi di produzione di bottiglie nuove solo con plastica riciclata in cui risultavano fragili, si è passati all’utilizzo di un mix di plastica vergine e riciclata e poi a preferire nuovamente solo materia prima vergine.
La plastica è senza fine vita?
La risposta è no. La plastica è un materiale estremamente durevole ottenuto da una materia prima, il petrolio, non rinnovabile. Ogni materiale, eccetto gli inerti, è soggetto a biodegradazione e questo vale anche per la plastica, che però si differenzia per i tempi letteralmente secolari. Il fatto che la plastica si biodegradi in centinaia di anni non significa quindi che non abbia un fine vita. Utilizzarla però per creare oggetti utilizzati per pochi secondi, minuti o giorni non ha senso, soprattutto economicamente.
Ipotetiche idee di riutilizzo si scontrano come abbiamo visto con la realtà dei fatti di processi di riciclo difficili e inefficienti. Un suo fine vita anticipato è quello negli inceneritori. Grazie al suo alto potere calorifero risulta ad oggi essere un materiale indispensabile nel CSS, il combustibile solido secondario, al fine di raggiungere le temperature necessarie durante l’incenerimento per produrre energia. Produrre un materiale perché venga bruciato è però uno spreco.
Come incentivare il riutilizzo?
Il vero riutilizzo da incentivare è quello degli oggetti e solo come ultima ratio quello dei materiali. Se ad essere riutilizzati sono quelli in plastica, ben venga. Si dice poi che non ci sono incentivi per spingere l’industria all’utilizzo di plastica riciclata. Ma appena vengono introdotti ci sono lamentele. Parliamo del contributo CONAI e della futura plastic tax.
Tassa non fa rima con incentivo? In questo caso sì. I polimeri provenienti da riciclo costano di più di quelli vergini e sono di qualità inferiore. Come può un imprenditore sostituire materie prime vergini con riciclate a queste condizioni? Anche per questo in Italia vi è una carenza di impianti. Come minimo bisogna rendere più costoso il materiale vergine per dirigere la scelta sui materiali riciclati.
Se si può ottenere lo stesso risultato attraverso sgravi fiscali per chi utilizza materiali riciclati si può anche fare in questo modo. Ma anche all’estero si usa l’arma dell’imposta fiscale come disincentivo. Forse si potrebbe pensare ad una combinazione di disincentivo tramite imposta e incentivo con la possibilità di sgravi fiscali.
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Conclusioni
Non abbiamo bisogno di trovare nuovi materiali migliori della plastica per produrne in quantità esorbitanti allo scopo di sostituirla. Di quanto tempo avremmo bisogno per svilupparlo a scala industriale? Troppo per le esigenze del nostro pianeta. Ogni materiale poi non nasce dal niente e ha bisogno di materie prime ed energia per essere prodotto. Una produzione così a larga scala da sostituire la plastica che impatto avrebbe? Pensiamo alle bioplastiche e plastiche vegetali. Questa sì che è cieca utopia. Iniziamo invece utilizzando le nostre risorse in maniera più cosciente e sostenibile. Possiamo farlo adesso.
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